Uno dei tanti manifesti dell'idiozia umana

11:28


Come si possa anche solo pensare per un attimo di impagliare un animale è una cosa rivoltante.
Mi vengono i brividi quando mi trovo di fronte a trofei che sono solo macabri, un vero e proprio manifesto dell'idiozia umana.

In questo caso si tratta di una coppia di aquile braccata da uomini che ambiscono ad averla in salotto

l'articolo di lazampa.it
L’aquila la riconosci subito. Gli altri uccelli no, devi osservare il becco, il colore delle piume. L’aquila ha le ali grandi, il volo fermo. Gli incontri sono rari, la vedi che perlustra le vette più alte dove tu non riesci ad arrivare.
In Liguria sono soltanto due le aquile rimaste. Una coppia che ha fatto il nido sul monte Toraggio, dove cominciano le Alpi Marittime. E’ uno dei luoghi più selvaggi del Nord Italia: sei a venti chilometri dal mare, lo vedi, senti le sirene delle navi, ma passi giorni senza incontrare un uomo. Il posto ideale per le aquile. E qualcuno segnala avvistamenti anche in Valle Argentina, a pochi chilometri di distanza. Gli animali selvatici sono così, non si fidano dell’uomo (e hanno ragione): allora sulle Alpi Marittime sono tornati i cervi, il gatto selvatico e perfino il lupo.

I nemici
Ma se cammini sui sentieri che salgono verso il Toraggio senti un colpo isolato. Uno sparo. I nemici delle aquile: i bracconieri. Quando la montagna è deserta, arrivano. Non bastano due metri di neve a salvare la coppia di rapaci. I bracconieri arrivano anche d’inverno, anche di notte. Il loro obiettivo sono camosci, cervi, lupi e poi le aquile. Non per soldi, né per cibo, le aquile del Toraggio rischiano di finire in un salotto: un trofeo impagliato da mostrare agli amici. Pochi lo sanno, ma su queste montagne si combatte da anni una battaglia durissima: da una parte i bracconieri, dall’altra le Guardie Forestali. A volte veri inseguimenti sulle strade sterrate, jeep che corrono sul filo dello strapiombo. O pedinamenti di giorni nella neve. E bisogna stare attenti, perché i cacciatori di frodo sono ben armati.
Tutto per poche centinaia di euro, i bracconieri a volte sono dei disperati, ma a volte a spingerli è la febbre della caccia. Nel 2008 in Italia il Corpo Forestale ha denunciato 185 persone per bracconaggio, sono state sequestrate 2.692 trappole e 74 armi da fuoco. E 697 animali già uccisi.
E’ dura, però. A lottare contro di loro a Imperia ci sono trenta forestali per un territorio grande 1.156 chilometri quadrati. Una manciata di uomini che combatte anche gli incendi, la speculazione edilizia, le discariche abusive. Ma oggi, in questa mattina di marzo, a spingerli in cima alle montagne è stata una segnalazione, qualcuno ha sentito uno sparo oltre la Colla Melosa, in una valle dalle pendici quasi verticali che sale verso i monti Toraggio e Grai.

Inseguendo le tracce
Così Bruno, Fiorenzo e Ulisse, che su queste montagne ci hanno passato anni, salgono nella neve che arriva ancora alla cintola dell’uniforme grigioverde. Guardano con il binocolo alla caccia di un puntino. «C’è gente che è disposta a rischiare la vita per uccidere un animale protetto», sospira Fiorenzo D’Annunzio mentre sale e cerca tracce nella neve. Ma le uniche impronte oggi sono quelle dei camosci. Poi un’altra, del gatto selvatico. «A volte troviamo anche i segni del lupo», racconta Bruno Failoni.
Ma l’animale più pericoloso è un altro, lascia orme di racchette da neve o di scarpe da montagna. E’ l’uomo. «I bracconieri purtroppo sono organizzati. Spesso non hanno armi con sé», spiega Ulisse Bencivenni. E indica un casolare diroccato: «Hanno nascondigli nel bosco, dove si riparano e sotterrano i fucili». E’ gente che conosce ogni centimetro di queste valli, che magari campa rivendendo i camosci ai ristoranti e si accontenta di poche decine di euro, ma non potrebbe rinunciare al brivido della caccia di frodo. «Certo, ci sono dei giovani», racconta Bruno, «Come quei due che abbiamo sorpreso una notte su una strada sterrata nei boschi. Appena ci hanno visto è cominciato un inseguimento a tutta velocità, una jeep dietro l'altra, finché non sono finiti in un fosso». Fiorenzo racconta di due settantenni presi dopo ore di appostamenti: «Scendevano dalla vetta. Sembravano due pensionati in gita, ma negli zaini c’erano due camosci». Intanto si sale, tirando l’aria gelida con i denti. A Sud si vede il mare, a volte, come un miraggio, compare addirittura la Corsica. A valle i paesi di Pigna e Triora, borghi tra i più belli d’Italia e quasi sconosciuti. Intorno le querce lasciano spazio ai larici. La vetta è lì, a poche decine di metri. Ed ecco due impronte sospette. Bisogna seguirle. E’ una lotta durissima.

I nemici
Il nemico non sono soltanto i bracconieri, ci si mette di mezzo anche la legge: le sanzioni sono di duemila euro al massimo. Non basta: «Finalmente la Regione nel 2007 ha istituito il parco naturale», racconta la gente di Pigna, «ma dopo pochi mesi un emendamento ha istituito le aree di paesaggio protetto. In pratica il parco è diventato a macchia di leopardo, qui la caccia è vietata, ma se fai dieci metri i fucili possono sparare. Gli animali per spostarsi avrebbero bisogno di una mappa del parco, perché le zone sicure sono grandi una manciata di ettari e basta un passo falso per essere impallinati. Merito», dicono in paese, «della lobby dei cacciatori». Il parco ha tanti nemici. Uno di loro, nel ‘95, uccise una femmina d’aquila e la lasciò in una cabina telefonica. Ma i grandi rapaci sono tornati. E’ il tramonto quando Bruno, Fiorenzo e Ulisse tornano alla jeep. Nessun colpo di fucile, fa troppo freddo e anche i bracconieri hanno mollato la presa. Le due ultime aquile della Liguria sono salve. Per oggi.

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