La felicità non è un’emozione, ma una condizione esistenziale.

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Mi sono ritrovata a leggere questo interessante articolo...
che fa riflettere
in effetti..tutta questa fatica che tutti tutti viviamo quotidinamente a che cosa è finalizzata?
Possiamo esporre vari oggetti del desiderio, ma tutti si riassumono in uno
la felicità
questo sogno
questa sublime ed esaltante sensazione
che cerchiamo senza sosta in ogni istante della nostra vita
certe volte sottoforma di beni materiali
altre volte
spirituali
ma sempre quella cerchiamo
....
vi passo questo articolo...in qualche senso liberatorio



La ricerca della felicità


Tutti vorremmo essere felici. Sembra ovvio, scontato. Ma siete davvero sicuri che sia così?
La vostra felicità è il vostro obiettivo principale? Ogni cosa che fate è finalizzata a raggiungerla?
Forse no. Eppure, riuscite a trovare nella vita qualcosa di più importante nella vita che essere felici? E allora perché non vi applicate? Perché rimandate?  
Forse anche voi siete tra quelli che vorrebbero essere felici, ma quanto tempo della vostra giornata dedicate alla ricerca della vostra felicità?
D’accordo, il concetto di felicità è molto astratto e si presta alle più diverse interpretazioni.
Come faccio a fare della felicità il mio obiettivo principale nella vita se neanche so dire bene che cosa sia poi questa felicità?
Cosa mi servirebbe per essere felice? Cosa devo fare per essere felice?
Diciamo che le ricerche psicologiche considerano prevalentemente la felicità come la percezione che ognuno ha di stare bene, di sentirsi bene.  
Daniel Kahneman, psicologo e matematico, premio nobel per l’economia nel 2002, per misurare la felicità, ha utilizzato quello che ha chiamato Indice di Benessere Soggettivo Medio (SWB).
Kahneman ha mostrato che esiste un livello di felicità che resta pressoché costante durante tutta la vita, in quanto è legato a caratteristiche personali degli individui.
In questo senso possiamo dire che la felicità non è un’emozione, ma una condizione esistenziale.
La felicità è un lampo, si dice spesso. Passa. Questo perché siamo spesso portati a pensare che la felicità sia un’emozione.
Ma se cominciassimo a pensare che la felicità non è un’emozione, come la gioia, l’allegria, la tristezza, ma è un modo di pensare?
Kahneman ha osservato, inoltre, che le persone esposte a importanti cambiamenti, dopo un periodo più o meno lungo dall’evento shock, tendono a tornare al livello di benessere che caratterizza in maniera costante la loro personalità.
Essere felici non significa cancellare le emozioni negative, la sofferenza. Significa, allora, riuscire ad avere una percezione elevata del proprio benessere in maniera costante.
Perché la felicità non è la realizzazione di un desiderio, un lampo, un attimo che fugge via. E’ un modo di vedere la vita, una lente, una chiave di lettura personale e stabile delle esperienze della vita.
In genere, dinanzi a un’esperienza, prima diamo una risposta emotiva, immediata, e poi una lettura, una interpretazione, una lettura del suo significato nella nostra vita.
Ed è nel modo in cui leggiamo l’esperienza che è la chiave della nostra felicità o della nostra infelicità.
Perché la felicità o l’infelicità non sono  nel mondo. Sono dentro di noi.
Un incontro, un paesaggio, un odore, possono scatenare un’emozione che viene e poi va.
Spesso quando proviamo queste emozioni di gioia, di allegria, abbiamo paura che finiscano.
E, in effetti, finiscono, perché sono reazioni, appunto, risposte a un evento. Rispondiamo e poi fine.
Accadono altri eventi, facciamo altre esperienze, proviamo altre emozioni.
 E questo spesso ci fa dire che la felicità sia fugace.
Ma le emozioni sono passeggere, il benessere è duraturo e dipende molto dal modo in cui tendiamo a spiegarci quello che ci succede.
Se, ad esempio, tendiamo a leggere le esperienze della vita in termini di insuccesso, sfortuna, fallimento, perdita, un momento di gioia per un successo ottenuto non potrà sicuramente farci cambiare questa nostra chiave di lettura, anzi sarà da noi letto come effetto del caso e non del nostro impegno e quindi completamente vanificato.
Per sentirsi bene, bisogna innanzitutto essere presenti, vivere nella realtà, confrontarsi con le esperienze e con le relazioni, chiedendosi continuamente: E’ questo che voglio?”
E anche: “In che modo sto leggendo questo evento? Potrei provare a leggerlo usando un’altra chiave di lettura?”
Per stare bene, sentirsi bene, diciamo, se proprio non vogliamo usare questa parola enorme, felicità, dobbiamo prima di tutto comprendere che tipo di occhiali abbiamo indossato finora per interpretare la realtà e provare a cambiarli.
Non inseguiremo, in questo modo, un irrealistico, illusorio stato di grazia perenne, privo di emozioni negative e dolori, ma un modo di pensare nuovo che ci permetta di guardare a noi stessi e alle esperienze della vita in modo più generoso.

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