e sarà estinzione
00:03L'articolo di Antonella Mariotti per Lazampa.it spiga in maniera semplice e senza esagerazioni quello a cui vanno incontro specie che non trovano più il lora naturale habitat, una triste quanto giustificata previsione purtroppo!
l'articolo
Verrà il giorno in cui non ci sarà più cima da salire per la pernice bianca, lo stambecco o il fiore della saxifraga. Animali e piante alpine stanno «scalando» verso le vette, salgono sempre più su in cerca di temperature adatte alla loro vita o di cibo, trovando sempre più caldo e meno spazi. E sarà estinzione. L’allarme lo lanciano i ricercatori dell’Università di Pavia e il Wwf, assieme agli enti dei Parchi delle zone coinvolte. In questi giorni hanno aperto l’ultima stazione del progetto «Gloria», sulla raccolta dati dei cambiamenti climatici e lo scioglimento dei ghiacciai.
Sotto il massiccio della Presolana, in Valtellina, c’è la sesta stazione italiana di misurazione, la prima nel settore meridionale delle Alpi Orobie all’interno del Parco nazionale lombardo. Si sale al rifugio Albani, intorno ai 2000 metri, in cerca della saxifraga e delle orchidee alpine.
«Misuriamo in piccole aree di tre metri per tre, usiamo un reticolo di legno a quadretti. Siamo ricercatori low-cost, ma i risultati possono salvare specie importanti per la biodiversità». Graziano Rossi è docente del Dipartimento di ecologia e territorio all’ateneo di Pavia: spiega come si delimita un’area per capire se – tra dieci o venti anni – in quella zona non ci saranno più quelle piante, o non si troveranno più tracce di quell’animale. «Del centimetro in stoffa che delimita l’area e del reticolo tra qualche anno non rimarrà più nulla, ma resteranno i segni dei picchetti e torneremo a vedere che cosa è cambiato».
Guido Trivellini è biologo dell’European alpine programme del Wwf, e sa tutto sullo scioglimento dei ghiacciai. «Possiamo vederlo con i nostri occhi il cambiamento: è andato perso il 30% della superficie dei ghiacciai, e nei prossimi venti anni ne perderemo un altro 50%». Gli effetti spesso sono eclatanti, alcune volte impercettibili, ma quasi sempre irreversibili: scompare un tipo di insetto, una primula, e oltre i duemila metri sono in pochi ad accorgersene. «Abbiamo un patrimonio naturale di cui in pochi si rendono conto, soprattutto alcuni politici che pensano solo a edificare». Parole asciutte e dritte al problema quelle di Franco Grassi, presidente del Parco regionale delle Alpi Bergamasche: «Una volta il parco era di 130 mila metri quadrati, adesso è poco più della metà». Grassi indica le cime più belle, le zone più verdi e dove si trovano le specie in pericolo. E non fa sconti a chi dei parchi si disinteressa, e lascia in agonia un grande patrimonio di bellezza.
Un esempio? Il «piè d’asino» - una specie di margherita - è risalta di 430 metri. Ama temperature più miti e le sta trovando sempre più su: «E’ il risultato degli studi che abbiamo fatto, confrontando i dati con quelli rilevati sul gruppo del Bernina da Augusto Pirola nel 1959», aggiungono i ricercatori.
Con loro ci sono anche i responsabili del Centro meteo lombardo, e Paolo Valoti, presidente del Cai, che dice: «La montagna va protetta, abbiamo una delle zone naturali più belle del mondo». Mauro Villa, direttore del Parco bergamasco, il suo modo per prevenire l’estinzione l’ha trovato: «Se non riusciamo a salvare le piante, almeno conserviamo i semi». Spiega che la sua passione sono le orchidee alpine, poco conosciute e difficili da riprodurre. «Abbiamo una banca dei semi, e stiamo cercando di far nascere alcune piantine. Le orchidee esotiche sono più resistenti delle nostre. Hanno semi che sono come polvere e finora siamo riusciti a coltivarli solo in un “brodo” di cocco....».
Sotto il massiccio della Presolana, in Valtellina, c’è la sesta stazione italiana di misurazione, la prima nel settore meridionale delle Alpi Orobie all’interno del Parco nazionale lombardo. Si sale al rifugio Albani, intorno ai 2000 metri, in cerca della saxifraga e delle orchidee alpine.
«Misuriamo in piccole aree di tre metri per tre, usiamo un reticolo di legno a quadretti. Siamo ricercatori low-cost, ma i risultati possono salvare specie importanti per la biodiversità». Graziano Rossi è docente del Dipartimento di ecologia e territorio all’ateneo di Pavia: spiega come si delimita un’area per capire se – tra dieci o venti anni – in quella zona non ci saranno più quelle piante, o non si troveranno più tracce di quell’animale. «Del centimetro in stoffa che delimita l’area e del reticolo tra qualche anno non rimarrà più nulla, ma resteranno i segni dei picchetti e torneremo a vedere che cosa è cambiato».
Guido Trivellini è biologo dell’European alpine programme del Wwf, e sa tutto sullo scioglimento dei ghiacciai. «Possiamo vederlo con i nostri occhi il cambiamento: è andato perso il 30% della superficie dei ghiacciai, e nei prossimi venti anni ne perderemo un altro 50%». Gli effetti spesso sono eclatanti, alcune volte impercettibili, ma quasi sempre irreversibili: scompare un tipo di insetto, una primula, e oltre i duemila metri sono in pochi ad accorgersene. «Abbiamo un patrimonio naturale di cui in pochi si rendono conto, soprattutto alcuni politici che pensano solo a edificare». Parole asciutte e dritte al problema quelle di Franco Grassi, presidente del Parco regionale delle Alpi Bergamasche: «Una volta il parco era di 130 mila metri quadrati, adesso è poco più della metà». Grassi indica le cime più belle, le zone più verdi e dove si trovano le specie in pericolo. E non fa sconti a chi dei parchi si disinteressa, e lascia in agonia un grande patrimonio di bellezza.
Un esempio? Il «piè d’asino» - una specie di margherita - è risalta di 430 metri. Ama temperature più miti e le sta trovando sempre più su: «E’ il risultato degli studi che abbiamo fatto, confrontando i dati con quelli rilevati sul gruppo del Bernina da Augusto Pirola nel 1959», aggiungono i ricercatori.
Con loro ci sono anche i responsabili del Centro meteo lombardo, e Paolo Valoti, presidente del Cai, che dice: «La montagna va protetta, abbiamo una delle zone naturali più belle del mondo». Mauro Villa, direttore del Parco bergamasco, il suo modo per prevenire l’estinzione l’ha trovato: «Se non riusciamo a salvare le piante, almeno conserviamo i semi». Spiega che la sua passione sono le orchidee alpine, poco conosciute e difficili da riprodurre. «Abbiamo una banca dei semi, e stiamo cercando di far nascere alcune piantine. Le orchidee esotiche sono più resistenti delle nostre. Hanno semi che sono come polvere e finora siamo riusciti a coltivarli solo in un “brodo” di cocco....».
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