non c'è limite al peggio
22:16eccolo qua!
ancora!
una nuova esposizione sui generis...patologica!
là dove si possa immaginare la sofferenza come opera d'arte c'è una patologia che qualcuno dovrebbe curare...
qualcuno bravo!
ancora!
una nuova esposizione sui generis...patologica!
là dove si possa immaginare la sofferenza come opera d'arte c'è una patologia che qualcuno dovrebbe curare...
qualcuno bravo!
l'articolo di lazampa.it
Si scrive installazione artistica ma si percepisce come una provocazione. Ricordate il caso del cane lasciato senza cibo in una stanza? E quello del bambino esposto come fosse un selvaggio in un circo di inizio Novecento? Questa volta a far discutere sono decine di uccelli stesi come fossero biancheria ad asciugare, con tanto di mollette per i panni.
L’artista colombiano Andrés Vélez li ha esposti a Calì, nell’ambito di una esibizione, con altri 41 artisti locali (Guarda la fotogallery). Modalità espressiva imparentata ad altre forme tridimensionali non mobili, come la Land Art, non si discute qui se questa sia o meno arte. Il punto è che vi trovano posto volatili locali veri, morti e vivisezionati. Non si sa come Vélez se li sia procurati. La cosa certa è il titolo dell’opera: “Contra el Viento” (Contro il vento). Il resto lo percepisce l’occhio, perso nella conta della moltitudine di volatili appesi per le ali allargate su dei fili.
Che l’artista abbia voluto fare un omaggio a “Gli uccelli” di Alfred Hitchcock poco importa. E comunque non giustifica l’uso di cadaveri di animali come forma d’arte. Il dibattito è aperto. E in internet anche molto acceso. Tanto che Andrés Vélez ha detto la sua, spiegato con un post sul blog di Gabriele Farina i motivi del suo gesto.
«Si tratta di un lavoro che si riferisce alla rivolta degli uccelli nei confronti della città, contro il cemento, contro il vetro, “contro il vento». Gli uccelli sono appesi in Guayas (elemento freddo e urbano), con delle mollette per i panni, pronti, con le ali aperte in riferimento alla “libertà rubata”, come fossero in un carcere dove lo spazio è occupato”. Con questo gesto, ha continuato a dichiarare l’artista in un italiano da limare, aveva intenzione di invitare a riflettere sulla città invisibile e su chi e su cosa ha subito l’abuso. «La mia intenzione è di creare un impatto visivo», consentendo all’opera di portare alla riflessione lo spettatore, «interagire con essa, risvegliando i sensi rimasti in sospeso». Voi, che ne pensate?
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