Recluse dal collo lungo

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Le Nazioni Unite hanno invitato a boicottare il turismo del "collo-lungo": accusano infatti il governo tailandese di non permettere a 20 Kayan birmani di ricostruirsi una vita in Nuova Zelanda perchè sono diventati un'attrazione turistica in quello che è stato definito uno "zoo umano".
I fatti. A partire dagli anni '80 circa 500 Kayan, popolazione famosa per la singolare tradizione secondo la quale le donne allungano il proprio collo indossando una serie di anelli dorati, si sono rifugiati in Tailandia per sfuggire alla guerra civile scoppiata fra i separatisti Karenni e l'esercito birmano. Invece che essere accolti nel campo profughi con gli altri rifugiati, però, i Kayan sono stati sistemati in un'area poco lontano.
Una zona che ha conosciuto una straordinaria affluenza turistica: per 250 bath (circa 8 dollari) è possibile visitare i tre villaggi che la compongono, guardare e fotografare le donne dal lungo collo.

Boicottaggio. Le Nazioni Unite, però, stanno prendendo in considerazione la necessità di boicottare il turismo del 'collo-lungo'. Come ha riferito la portavoce dell'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Kitty McKinsey, infatti, i Kayan sono trattati dalle autorità tailandesi in "maniera particolare" e sono stati confinati in quello che definisce uno "zoo umano": mentre ad altri 20mila rifugiati è stato dato il permesso di ricostruirsi una vita al di fuori della Tailandia, i Padaung, come vengono chiamati i Kayan in Birmania, non possono lasciare il paese. Quando nel 2005 l'Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite aprì le registrazioni per il riposizionamento in paesi terzi degli oltre 50mila rifugiati della zona, quasi tutte le famiglie Kayan fecero richiesta: tre di queste risultarono idonee, ma da allora il governatore Direk Kornkleep non ha mai firmato l'autorizzazione necessaria a permettere loro di lasciare il paese.

Zember. Una ragazza di 23 anni, Zember, è diventata l'emblema di questa disputa. Fa parte di una delle tre famiglie considerate idonee a lasciare la Tailandia: dovrebbe trasferirsi in Nuova Zelanda, ma insieme ad altri 20 Kayala non può partire. Anche lei, seguendo la tradizione, portava i tipici anelli al collo, poi, un po' per frustrazione un po' in segno di protesta contro quello che ormai vede come arma di sfruttamento, se li è tolti. "Quando ero giovane volevo indossarli e mantenere la tradizione", ha affermato Zember, "li ho tolti così mi lasceranno andare. Quando sto qui nel villaggio, loro fanno soldi con i turisti e non mi piace".

Turismo. Secondo il governo tailandese le famiglie Kayan, non vivendo all'interno dei campi profughi, non possono essere considerate rifugiate, ma sono registrate come tribù di collina e vengono reputate alla stregua di famiglie emigrate che si guadagnano da vivere col turismo. Secondo Kitty McKinsey, invece, i Kayan sono rifugiati al cento per cento e sono stati obbligati dalle stesse autorità tailandesi a vivere fuori dal campo. Il sospetto è che non venga loro permesso di andarsene per il cospicuo ritorno economico dell'industria turistica. Il turismo del collo lungo, infatti, è diventato un grosso business nella provincia di Mae Hong Son, ma pochi soldi entrano nelle tasche dei Kayan perchè tutto il mercato è gestito dai tailandesi: le donne che portano gli anelli al collo ricevono una paga di 1500 bath al mese per amministrare negozi di souvenir, ma, per alcune, essere pagate per permettere ai turisti di fissarle e fotografarle è un accordo inaccettabile. Il governo ha annunciato un piano volto a preservare la cultura Kayan e creare un centro turistico. Come incentivo il progetto prevede la costruzione di case libere dal controllo tailandese e la possibilità di ottenere la cittadinanza. A nessun altro rifugiato è stato proposto un simile accordo.

peacereporter.net

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