Le banche dei cereali
18:02Nel bel mezzo della crisi finanziaria più grave dal 1929 a questa parte, con gli istituti di credito americani ed europei sull’orlo della bancarotta, in Niger fanno fortuna delle banche un po’ particolari. Create per far fronte alle frequenti siccità in uno dei Paesi più aridi del continente, le banche dei cereali aiutano le comunità rurali fornendo loro cibo durante il periodo precedente il raccolto, quando le riserve dei contadini scarseggiano. Organizzate in piccole comunità e spesso supportate da organizzazioni non governative, le banche sembrano il miglior modo per affrontare le frequenti emergenze alimentari del Paese.
Dall’Etiopia al Gambia, dal Mali al Kenya, le banche dei cereali si sono diffuse su tutto il continente: solo negli ultimi anni, in Niger ne sono nate più di 4.000, anche se il 40 per cento è fallito in poco tempo. “Ma qui il concetto che sta alla base del fenomeno esiste sin dal periodo coloniale, ed è così importante che, anche se le banche falliscono, spesso vengono ricostituite dalle stesse comunità”, spiega a Panorama.it Gianluca Ferrera, vice - direttore per il Niger del Programma Alimentare Mondiale, che qui finanzia circa duemila banche attraverso Ong locali o internazionali. Organizzate per servire uno o più villaggi, solitamente le banche ricevono una donazione iniziale per costruire il magazzino delle granaglie e acquistare i primi cereali (tra le cinque e le dieci tonnellate, a seconda delle dimensioni della banca). Un terzo di questi viene concesso ai contadini sotto forma di prestito ad interesse, che gli stessi dovranno restistuire a raccolto concluso. Altri due terzi vengono invece venduti, a prezzi sussidiati, nei mesi che lo precedono, i più duri per la scarsità delle riserve alimentari nel Paese. Con i soldi così guadagnati, la banca ricostituirà lo stock iniziale acquistando i cereali dopo il raccolto, quando il loro prezzo è più basso. “Il fine è quello di dare una certa stabilità a un Paese che soffre di una carenza alimentare cronica”, prosegue Ferrera. Nel 2004 un’invasione di locuste, seguita da una pesante siccità durata otto mesi, costrinse alla fame più di tre milioni e mezzo di persone. Un’esperienza che il poverissimo Niger, al quartultimo posto nell’Indice di sviluppo umano dell’Onu e con un’aspettativa di vita di appena 46 anni, spera di non ripetere più. In situazioni così disperate il sistema delle banche non funziona, perché i contadini non raccolgono abbastanza cereali per poter ripagare i debiti, ma in condizioni di moderata siccità è abbastanza maturo da far fronte alle esigenze dei più.
Locuste e mancanza di pioggia non sono gli unici motivi di preoccupazione. Un altro consiste nel trovare persone abbastanza istruite per gestire un’organizzazione che richiede direttori, tesorieri e responsabili di magazzino. In Niger, dove il tasso di alfabetizzazione è al 28 per cento (ma scende al 15 tra le donne), anche solo trovare persone che sappiano leggere e scrivere nelle comunità rurali è un’impresa. Buona parte dei fallimenti sono causati proprio dalla scarsa professionalità dei manager, alcuni dei quali hanno organizzato vere e proprie frodi nei confronti dei contadini, sottraendo i fondi destinati all’acquisto delle sementi. Ma i dati forniti dal Pam, secondo cui l’87 percento delle banche sostenute dall’agenzia sono ancora in vita dopo tre anni, inducono all’ottimismo. “Il prossimo passo sarà quello di tentare una federazione tra le varie banche, in modo da ottenere maggiori sconti all’acquisto dei cereali”, conclude Ferrera. E magari creare un sistema integrato, che permetta alle banche di venire in aiuto delle zone del Paese dove di volta in volta la carenza di cibo è più grave.
panorama.it
Dall’Etiopia al Gambia, dal Mali al Kenya, le banche dei cereali si sono diffuse su tutto il continente: solo negli ultimi anni, in Niger ne sono nate più di 4.000, anche se il 40 per cento è fallito in poco tempo. “Ma qui il concetto che sta alla base del fenomeno esiste sin dal periodo coloniale, ed è così importante che, anche se le banche falliscono, spesso vengono ricostituite dalle stesse comunità”, spiega a Panorama.it Gianluca Ferrera, vice - direttore per il Niger del Programma Alimentare Mondiale, che qui finanzia circa duemila banche attraverso Ong locali o internazionali. Organizzate per servire uno o più villaggi, solitamente le banche ricevono una donazione iniziale per costruire il magazzino delle granaglie e acquistare i primi cereali (tra le cinque e le dieci tonnellate, a seconda delle dimensioni della banca). Un terzo di questi viene concesso ai contadini sotto forma di prestito ad interesse, che gli stessi dovranno restistuire a raccolto concluso. Altri due terzi vengono invece venduti, a prezzi sussidiati, nei mesi che lo precedono, i più duri per la scarsità delle riserve alimentari nel Paese. Con i soldi così guadagnati, la banca ricostituirà lo stock iniziale acquistando i cereali dopo il raccolto, quando il loro prezzo è più basso. “Il fine è quello di dare una certa stabilità a un Paese che soffre di una carenza alimentare cronica”, prosegue Ferrera. Nel 2004 un’invasione di locuste, seguita da una pesante siccità durata otto mesi, costrinse alla fame più di tre milioni e mezzo di persone. Un’esperienza che il poverissimo Niger, al quartultimo posto nell’Indice di sviluppo umano dell’Onu e con un’aspettativa di vita di appena 46 anni, spera di non ripetere più. In situazioni così disperate il sistema delle banche non funziona, perché i contadini non raccolgono abbastanza cereali per poter ripagare i debiti, ma in condizioni di moderata siccità è abbastanza maturo da far fronte alle esigenze dei più.
Locuste e mancanza di pioggia non sono gli unici motivi di preoccupazione. Un altro consiste nel trovare persone abbastanza istruite per gestire un’organizzazione che richiede direttori, tesorieri e responsabili di magazzino. In Niger, dove il tasso di alfabetizzazione è al 28 per cento (ma scende al 15 tra le donne), anche solo trovare persone che sappiano leggere e scrivere nelle comunità rurali è un’impresa. Buona parte dei fallimenti sono causati proprio dalla scarsa professionalità dei manager, alcuni dei quali hanno organizzato vere e proprie frodi nei confronti dei contadini, sottraendo i fondi destinati all’acquisto delle sementi. Ma i dati forniti dal Pam, secondo cui l’87 percento delle banche sostenute dall’agenzia sono ancora in vita dopo tre anni, inducono all’ottimismo. “Il prossimo passo sarà quello di tentare una federazione tra le varie banche, in modo da ottenere maggiori sconti all’acquisto dei cereali”, conclude Ferrera. E magari creare un sistema integrato, che permetta alle banche di venire in aiuto delle zone del Paese dove di volta in volta la carenza di cibo è più grave.
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